“Uccisa dal citrobacter”: ecco cosa è successo in un ospedale italiano

Nina è stata uccisa dal Citrobacter. Era nata prematura l’11 aprile del 2019 all’ospedale di Borgo Trento, settimina, ma sana. I problemi sono iniziati otto giorni dopo il parto: febbre, convulsioni, tachicardia, l’infezione arrivata in fretta al cervello, distruggendolo e rendendo la piccola un vegetale.

Mamma Francesca il 26 luglio la porta via da Verona, dopo essersi rifiutata di sottoporla ad un intervento chirurgico proposto dall’equipe della Terapia Intensiva Neonatale per ridurre l’idrocefalo, «non per salvarla», sospira commossa, «ma semplicemente per darle più comfort dato che aveva una testa abnorme rispetto al corpo, effetto dell’encefalite da Citrobatcter. Mi avevano detto che così sarebbe sembrata un po’ meno un mostro…». Francesca firma le dimissioni e fa trasferire la piccola all’ospedale Gaslini di Genova. «Per la mia Nina non c’erano più speranze e sapevo che lì, all’hospice pediatrico, almeno le avrei dato una morte dignitosa», ripete, «senza dolore, senza tutti quei tubi inutili attaccati ovunque, sarebbe volata via piano piano, in un ambiente più umano. Perchè purtroppo ci sono altri neonati, come la mia Nina, che si sono presi a Borgo Trento il Citrobacter, un altro bimbo è morto dopo di lei, un altro è a casa cerebroleso, i casi non sono sporadici e bisogna risolvere una volta per tutte questa situazione.

A Genova, alla morte di Nina, la Procura ha aperto un fascicolo, ha ordinato l’autopsia e il pm Marcello Maresca ha incaricato un perito per chiarire cosa effettivamente sia successo alla bimba, la causa del decesso e le eventuali responsabilità.

All’ospedale di Verona, spiega la dottoressa Giovanna Ghirlanda, responsabile della Direzione Medica Aoui, il problema c’è. «Sì, il Citrobacter nella rianimazione neonatale circola», ammette la dottoressa Ghirlanda, «e abbiamo provveduto più volte a fare la disinfestazione del reparto e la bonifica, in modo continuativo, proprio per fermare le microepidemie che questo germe provoca una volta che attacca un ambiente. E sì, sappiamo che oltre a quello di Nina ci sono stati altri casi. Abbiamo rinforzato i percorsi anti-infezione lì come in altri aree molto delicate dell’ospedale».