Pochi alimenti mantengono un potere così fortemente culturale e simbolico nei riguardi del contesto italiano come la pizza, a causa dell’enorme diffusione di questo alimento da oramai diversi secoli. La tipologia di varietà ha reso la pizza disponibile in innumerevoli tipologie, come la pizza fritta.
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La pizza fritta ancora di più rispetto a quella “standard”, realizzata al forno, costituisce al meglio l’idea di street food applicato ad una realtà culturale come quella napoletana, ma come ogni alimento fritto inevitabilmente fa “storcere il naso” a chi sta particolarmente attento all’alimentazione.
Mangiare tutti i giorni la pizza fritta non è assolutamente consigliabile, soprattutto in virtù della problematica inerente al surriscaldamento dell’olio. Se questo, come spesso accade in contesti non propriamente salutari, viene “bruciato” a temperature molto alte, avviene il rilascio di sostanze nocive come gli aldeidi che provocano un aumento della pressione del sangue e la diminuzione dei livelli di colesterolo buono. In senso generale, qualsiasi dieta che fa ricorso ad un costante consumo di alimenti fritti risulta essere nociva, e può notevolmente aumentare le possibilità di una morte prematura.
Risulta quindi sempre consigliabile ridurre l’apporto di pizza fritta a massimo 1 volta a settimana, meglio ancora in virtù della possibilità di preparare in modo autonomo questo alimento.
Come accennato ciò che rende la frittura “poco salutare” è la qualità dell’olio (il migliore è quello extravergine di oliva) e soprattutto bisogna mai esagerare oltre il “punto di fumo”, come accennato in apertura, in quanto eccedere provoca il rilascio di sostanze tossiche e cancerogene. E’ sufficiente utilizzare un termometro sviluppato apposta per la cottura, in senso generale per la frittura è importante mai eccedere oltre i 180 gradi. L’olio extravergine è il migliore anche perchè ha il punto di fumo più alto (210 gradi centigradi), poco sotto c’è quello di arachide (mediamente poco sotto i 200 gradi).